Editoriale pubblicato il 7 marzo 2019 su The Economist
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La prima grande ondata di interesse straniero in Africa, soprannominata “la corsa”, avvenne quando i coloni europei del XIX Secolo ritagliarono il continente impadronendosi della terra degli africani. La seconda fu durante la Guerra Fredda, quando Est e Ovest gareggiavano per ottenere la fedeltà dei nuovi stati africani indipendenti: l’Unione Sovietica sosteneva i tiranni marxisti mentre l’America appoggiava i despoti che sostenevano di credere nel capitalismo. Una terza ondata, tuttora in corso, è più benevola: gli stranieri hanno notato che il continente è importante e lo è sempre più e non solo per la crescente quota della popolazione (entro il 2025 l’ONU prevede che ci saranno più africani che cinesi). I governi e le imprese di tutto il mondo si stanno affrettando a rafforzare legami diplomatici, strategici e commerciali. Questo crea grandi opportunità. Se l’Africa gestisse con saggezza questa nuova corsa i principali beneficiari sarebbero gli stessi africani.
L’estensione dell’impegno straniero non ha precedenti e inizia con la diplomazia. Dal 2010 al 2016 sono state aperte più di 320 ambasciate in Africa, probabilmente il più grande boom di realizzazione di ambasciate in assoluto. La sola Turchia ne ha aperte 26. L’India lo scorso anno ha annunciato che ne avrebbe aperte 18.
Anche i legami militari si stanno rafforzando. Stati Uniti e Francia prestano muscoli e tecnologie alla lotta contro il terrorismo jihadista nel Sahel, la Cina è oggi il più grande venditore di armi in Africa subsahariana e ha stabilito legami con le tecnologie di difesa di 45 nazioni. Dal 2014 la Russia ha firmato 19 accordi militari con gli stati africani. Gli stati arabi ricchi di petrolio stanno costruendo basi militari in Corno d’Africa e assumono mercenari africani.
I legami commerciali sono stati capovolti. Solo nel 2006 i tre maggiori partner commerciali dell’Africa erano Stati Uniti, Cina e Francia, in quest’ordine. Nel 2018 la Cina ha ottenuto il primato, l’India è seconda e gli Stati Uniti terzi mentre la Francia è al settimo posto. Nello stesso periodo il commercio africano è più che triplicato con la Turchia e l’Indonesia, più che quadruplicato con la Russia. Il commercio con l’Unione Europea è cresciuto di un più modesto 41%. Le maggiori fonti di investimenti diretti esteri sono ancora imprese provenienti da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia ma quelle cinesi, comprese le aziende sostenute dallo Stato, stanno recuperando terreno e gli investitori di India e Singapore sono desiderosi di unirsi alla mischia.
Lo stereotipo degli stranieri in Africa racconta di sfruttatori neocolonialisti, interessati solo alle risorse naturali del continente e non alla sua gente, pronti a corrompere i pezzi grossi locali nell’ambito di affari loschi che non danno vantaggi agli africani comuni. Lo stereotipo a volte è reale. Troppe imprese petrolifere e minerarie sono sporche, leader africani corrotti, di cui ce n’è in abbondanza, possono sempre trovare agenti stranieri per riciclare il proprio bottino. I contratti stipulati con aziende di paesi che si preoccupano poco della trasparenza, come Cina e Russia, sono spesso confusionari. Tre giornalisti russi sono stati assassinati l’anno scorso mentre indagavano su un gruppo di mercenari legati al Cremlino che, a quanto si dice, proteggono il Presidente della Repubblica Centrafricana, dilaniata dalla guerra civile, consentendo l’estrazione dei diamanti. Comprensibilmente, molti vedono in questo un’ondata di imperialismo vecchio stile.
Tuttavia, il relazionarsi con il mondo esterno è stato perlopiù positivo per gli africani. Gli stranieri costruiscono porti, vendono assicurazioni e portano la tecnologia dei moderni telefoni cellulari. Le fabbriche cinesi fervono di attività in Etiopia e Ruanda. Turkish Airlines vola in oltre 50 città africane. Una maggiore apertura al commercio e agli investimenti è uno dei motivi per cui il PIL pro-capite a sud del Sahara è due quinti più alto rispetto al 2000 e in questo hanno contribuito anche politiche macroeconomiche più solide e un minor numero di guerre. Gli africani ne beneficiano quando gli stranieri acquistano di tutto, dal tessile alle vacanze fino ai servizi digitali.
Fonte: The Economist